Biografia di Lucio Del Pezzo

Lucio Del Pezzo è nato nel 1933 a Napoli, dove si è formato presso l’Accademia di Belle Arti e l’Istituto d’Arti Applicate. Nel 1958 partecipa alla fondazione del Gruppo 58, d’impostazione neosurrealista e neodada, assieme ad artisti quali Guido Biasi, Bruno Di Bello, Sergio Fergola, Luca (Luigi Castellano) e Mario Persico. La storia del gruppo è strettamente legata al Manifesto nuclearista del 1952 redatto da Enrico Baj e Sergio Dangelo a Milano, del quale decidono di seguire le tracce, promuovendo un’arte che contenga una ripresa della tradizione iconologica locale rompendo però gli schemi figurativi tradizionali. Sotto la guida di Luca, il Gruppo 58 si dota della rivista DocumentoSud come mezzo di promozione del proprio lavoro ed espone a Napoli, Firenze, Roma e Milano. Del Pezzo inizia qui a elaborare il proprio linguaggio artistico, attraverso pitture-oggetto, assemblage in cui un tono ludico si contrappone con un sentire mistico, oltre a rapporti cromatici e formali. Il collage tra objet trouvé e stampe di provenienza popolare dà alle sue opere la valenza di pittura e scultura allo stesso tempo: nei suoi lavori i tratti pop, inseriti nel tempo presente – si mescolano con una temporalità metafisica e personale. Nel 1959 Del Pezzo firma il Manifeste de Naples, che raggruppa i componenti della neoavanguardia napoletana, di quella milanese e altri esponenti della cultura dell’epoca come Nanni Balestrini, Paolo Radaelli, Leo Paolazzi, Sandro Bajini, Edoardo Sanguineti, Luca, Bruno di Bello, Mario Persico, Guido Biasi, Giuseppe Alfano, Donato Grieco, Enrico Baj, Angelo Verga, Ettore Sordini, Recalcati e Sergio Fergola.

Nel 1960 si trasferisce a Milano su invito di Enrico Baj e, nello stesso anno, Arturo Schwarz ospita una mostra personale dell’artista nell’omonima Galleria Schwarz. A contatto con le opere di Sironi, Carrà, Morandi e soprattutto di De Chirico, Del Pezzo tende ad ampliare in modo sempre più evidente la componente metafisica nel suo linguaggio, affiancandolo con forme geometriche decontestualizzate. Conia anche la definizione di “Visual Box”, per indicare i diversi piani sui quali si dispongono i propri lavori, a metà tra immagine e oggetto tridimensionale: il suo repertorio si distingue per i pannelli geometrici monocromi, sui quali sono inserite mensole o scavate concavità, che sostengono oggetti come birilli, uova di legno, bocce, manichini, talvolta molto colorati, con il consueto carattere ludico e metafisico. Intorno al 1965 l’artista si trasferisce a Parigi, dove occupa il vecchio studio di Max Ernst in rue Mathurin Régnier 58. Risale al 1968 la sua prima personale nella capitale francese. L’affermarsi della neoavanguardia Nouveau Réalisme e del desiderio di “riappropriazione del reale” tanto divulgato lo influenza profondamente e lo induce a riflettere sull’elemento dello “scarto”, del rifiuto all’intero della nuova società di massa come dato poetico.

Nel 1966 Del Pezzo si affianca ai maestri dell’astrattismo e concretismo italiano, in primis Eugenio Carmi, all’esperienza della Cooperativa del Deposito di Boccadasse, dove tiene una mostra personale. Nello stesso anno gli viene dedicata una sala personale alla XXXIII Biennale di Venezia e Del Pezzo inizia ad ottenere numerosi riconoscimenti nell’ambito artistico internazionale. Negli anni Settanta collabora in veste di grafico con l’azienda Olivetti e con il gruppo automobilistico Renault Italia. Nel 1970 Arturo Carlo Quintavalle cura un’importante antologica dedicata all’artista al Salone dei Contrafforti della Pilotta di Parma, seguita, nel 1974, da una retrospettiva alla Rotonda di via Besana a Milano curata da Guido Ballo. Nel 1979 Del Pezzo rientra definitivamente in Italia e si stabilisce a Milano, dove diventa professore per la cattedra di “ricerche sperimentali sulla pittura” alla nuova Accademia di Belle Arti di Milano al posto di Emilio Tadini. Stabilisce il suo studio sui Navigli di Milano, sua città di adozione.

Il suo linguaggio artistico per tutto il suo percorso ha oscillato tra linguaggio pop, neorealista, dadaista e metafisico. Le sue opere, difficili da etichettare, sono delle “Visual Box” in cui l’elemento architettonico e scultoreo, racchiude pittura, collage e oggetti. Un linguaggio ludico e sognante sempre usato da Lucio Del Pezzo come lente di ingrandimento per analizzare e criticare la società di massa e il suo consumismo. Le sue opere, tra quelle di altri artisti, al momento fanno parte di un’iniziativa di beneficenza lanciata dalla Fondazione Pomodoro assieme allo Studio Marconi, e vengono donate a chi sostiene l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri nella lotta contro il Covid-19.

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